mercoledì 18 aprile 2018

L’Islam e l’ascesa della “moda modesta”

La moda è in continua evoluzione come il cammino dell’uomo e la Storia. Chi la considera una faccenda di poco conto, per ragazzine ossessionate dal look, oppure la riduce a un insieme di tendenze stagionali collegate alla smania di consumismo commette un grave errore.

La moda è molto di più di un post su Instagram; è specchio del tempo, riflette abitudini, regole, forme di ribellione, desideri, sogni, immagini, pensieri, fantasia, razionalità, ma coinvolge anche la società, il commercio, il lavoro di tantissime persone ed è costituita da tante tappe quante sono le epoche vissute dall’uomo (a tal proposito vi consiglio di riguardare il celebre dialogo tra Meryl Streep e Anne Hathaway nel film “Il Diavolo veste Prada).

Oggi stiamo assistendo a un nuovo cambiamento, osservando un riflesso diverso da quello che siamo abituati a vedere di solito: la “moda modesta” al femminile. In generale possiamo definire così un preciso codice di abbigliamento (e, quindi, solo per alcuni versi, di comportamento, ovvero un determinato modo di porsi, di stare in società) che viene declinato in diverse sfumature non solo nel mondo islamico, ma anche in quello occidentale, ovviamente con differenze rilevanti.

In questo articolo ci interessa analizzare la moda modesta dal punto di vista islamico, ma certo quello occidentale è altrettanto importante e ha a che fare con la volontà di andare controcorrente, preferendo abiti meno appariscenti, in una società in cui la vita quotidiana, i gusti, i viaggi, il corpo, i successi sono sovraesposti, spesso esibiti con un autocompiacimento malcelato.

Sulla moda modesta in senso occidentale potremmo scrivere pagine su pagine, ma perderemmo di vista la natura di questo blog. Torniamo, quindi, alla moda modesta secondo l’Islam.

Questa definizione risale al Duemila, con la nascita delle prime case di moda dedicate all’islamic fashion, come spiega la professoressa Reina Lewis nel suo saggio “Modest fashion: styling bodies, mediating faith”, (Tauris Academic Studies, 2013).

Devo ammettere che i termini “moda modesta” non mi convincono del tutto: le parole, spesso, vengono caricate di significati, di simboli che vanno oltre una semplice definizione. “Modesta” è un aggettivo impiegato, in questo caso, per contrapporre il costume islamico a quello occidentale; così facendo, però, dimentichiamo il fatto che non tutta la moda europea e americana può essere definita come “non modesta”.

Che cosa intendiamo davvero con “modesto”? Attenzione a non confondere quest’ultima parola con un’altra ben diversa, ovvero “castigato”. Non sempre i due termini sono sinonimi e certo non è detto lo siano né nella moda occidentale né in quella islamica.

La moda modesta nel mondo arabo e musulmano si sta sviluppando in modi molto interessanti ed eclettici, come vedremo. A questo punto si può obiettare che, per esempio, portare il velo può essere una forma di abbigliamento castigato (e non solo modesto), mentre portare una minigonna non lo è.

Dipende da ciò che intendiamo con la parola “bellezza”, ma anche di quali e quanti significati carichiamo simboli come il velo e la minigonna. Pensiamo a quante donne musulmane percepiscono la tradizione di velarsi come un modo per affermare l’identità e non una forma di castigo per il corpo.

Di contro, però, ed è giusto ricordarlo, per altre donne il velo è una costrizione imposta dall’esterno, un obbligo attraverso il quale “misurare” la genuinità della fede (anche per gli uomini esistono obblighi simili).

Aab Collection: https://www.aabcollection.com/
Ciò non fa che rendere la complessità dei concetti di moda, femminilità, bellezza, libertà nel mondo islamico e, quindi, l’impossibilità di ridurli a una visione o a termini troppo generici. Persino una minigonna può diventare una sorta di trappola se viene imposta come un abbigliamento da indossare “a tutti i costi” e a rigide condizioni senza le quali “non possiamo dirci belle”.

Qui non è la fede, ma la bellezza a essere “misurata”. (Fatima Mernissi, nel libro “L’Harem e l’Occidente”, asserisce che, per le donne occidentali, la taglia 42 rappresenta, al pari del velo per le donne musulmane, la vera oppressione, una sorta di harem, ovvero una gabbia da cui è molto difficile uscire). 

Si tratta, ovviamente, di forme diverse di costrizione, ma il risultato è lo stesso: incastrare persone e concetti in stereotipi, omologarle in ambito religioso, sociale, persino privato.

La percezione soggettiva degli obblighi, ma anche di noi stessi e i condizionamenti provenienti dall’esterno non hanno sempre dei confini ben delimitati e questo complica ulteriormente le cose.

I termini “moda modesta” fanno pensare a una mancanza di fantasia nella scelta dei tessuti, dei colori, nella creazione dei modelli, o ancora a qualcosa di lungo, senza forma, grigio e spento in contrapposizione a un tipo di moda più colorata, “scollata” e vivace, ma basta guardare l’ultima sfilata di abiti svoltasi a Dubai il mese scorso, nell’ambito dell’evento “A Modest Revolution” per renderci conto che la “modest fashion” è tutt’altro.

Per questi motivi trovo riduttivi i termini con cui ci si riferisce a questo tipo di moda. Non dobbiamo neanche pensare che si tratti di un settore di nicchia. I numeri, del resto, parlano chiaro: Reuters, insieme a Dinar Standard, riportano una spesa di circa 243 miliardi di dollari, nel 2015, per quel che concerne i capi d’abbigliamento e gli accessori della moda modesta nei Paesi islamici.

Ci si aspetta, per quest’anno, una notevole crescita di questo settore e di quelli relativi ai viaggi, alla cultura e al cibo. I Paesi che producono di più si trovano in Medio Oriente e in Asia. Parliamo di nazioni in ascesa economica, in cui si investe e si crea (tendenze, queste, in pieno sviluppo già da anni).

Gli stilisti non sono solo arabi musulmani; persino Dolce & Gabbana hanno realizzato, per la primavera/estate 2016 una linea chiamata “Abaya” pensata per le donne musulmane. Hijab, abaya, occhiali da sole coordinati, tessuti freschi e leggeri su cui dominano i ricami, le pietre, le stampe floreali e, soprattutto, i colori.

La prima modest fashion week si è tenuta nel 2014 a Istanbul e, da allora, lo stile islamico ha conquistato le passerelle di tutto il mondo, fino ad approdare, nel febbraio 2017, a Londra, la prima città europea ad aver ospitato l’evento. 

Impossibile, poi, non ricordare il Modest Fashion Festival tenutosi il 21 ottobre nella capitale inglese, a Grovesnor House. Questo appuntamento, fulcro della moda modesta di lusso, è nato dall’idea di Fahreen Mir e Sultana Tafadar con lo scopo di far conoscere lo stile islamico, abbattere i pregiudizi che lo circondano, far scoprire un nuovo modo di creare e pensare la moda.

Fahreen Mir è un’ematologa che lavora a Sutton, al Royal Marden Hospital, mentre Sultana Tafadar è un avvocato specializzato in diritto internazionale e dedica la vita al rispetto dei diritti umani.

Durante questo festival ha sfilato anche Halima Aden, la giovane modella musulmana di origini somale, nata in un campo profughi in Kenya e naturalizzata americana. Halima ha sfilato con l’hijab per Alberta Ferretti e Max Mara durante la Milano Fashion Week lo scorso anno e per la collezione di Yeezy Season 5 di Kanye West a New York (A.I 2017/2018).

La sua ascesa nel mondo della moda include una cover storica su Vogue Arabia (giugno 2017), in cui posa indossando il velo (fatto mai accaduto su una rivista occidentale), seguita da un’altra su Allure (luglio 2017).

Halima Aden è diventata un simbolo dello stile e della moda modesti, benché di lusso, un’icona che, prima di sfilare per Ferretti ha detto: “Voglio trasmettere un messaggio positivo che ha come tema la bellezza e la diversità. Voglio mostrare alle giovani donne musulmane che c’è spazio anche per loro”.

La moda modesta, dunque, non deve essere immaginata come una specie di “monolite” immutabile nel tempo. Esistono tanti stili quanti sono i Paesi islamici e ogni stile può essere personalizzato dalla donna che lo indossa. Inoltre ogni stilista crea abiti in base a precise idee che riguardano i concetti di femminilità, modernità, bellezza, lusso, stile appunto e che sono quasi totalmente soggettive e mai fisse nel tempo.

Lo scopo di molti creativi di questo settore è quello di rompere gli schemi e gli stereotipi (in teoria lo stesso discorso vale per la moda occidentale).

La modest fashion è in continua espansione e non conosce crisi. Si sta, pian piano, staccando (benché non del tutto) dai dettami religiosi per andare incontro alle esigenze e ai desideri delle ragazze e delle donne nel mondo moderno.

Una sfida che si sta giocando anche in Europa e negli Stati Uniti. Solo il tempo potrà mostrarci in che modo evolverà.


Bibliografia e sitografia

Lewis Reina, “Modest Fashion: Styling Bodies, Mediating Faith”, Tauris Academic Studies, 2013;

Mernissi Fatima, “L’harem e l’Occidente”, Giunti Editore, 2000;