lunedì 28 gennaio 2013

Le Mille e Una Notte: Antoine Galland

Continua la serie di post dedicati a “Le Mille e Una Notte”. Argomento di oggi è la vita del traduttore di quest’opera, il francese Antoine Galland (1646-1715). Grazie al famoso orientalista le novelle arrivarono in Francia diffondendosi, poi, in tutta Europa.

La sua traduzione dall’arabo (ricca di “aggiustamenti”, invenzioni ed adattamenti) venne donata alla Marchesa d’O, dama della duchessa di Borgogna ed è composta da dodici volumi. Nel 1701 Galland iniziò a tradurre un corpus di racconti di varia provenienza: araba (nello specifico egiziana), persiana ed indiana

Questi nuclei centrali si trasformarono enormemente nell’arco di un tempo molto lungo, che va dal III sec. al XIV. Galland, però, non si limitò a tradurre, ma aggiunse delle storie (come Ali Babà ed i Quaranta Ladroni e Sinbad il Marinaio). Alcuni studiosi sostengono addirittura, ma sulla questione ancora si dibatte, che queste aggiunte siano frutto della stessa fantasia dell’orientalista e non provengano affatto dal mondo orientale.

Les Mille et Une Nuit vennero pubblicate nel 1704, riscuotendo subito un grande successo. Sembra che il celebre traduttore, per descrivere il personaggio di Shahrazad in modo che incontrasse il favore del pubblico francese, si sia ispirato proprio alla Marchesa d’O, ma anche alla baronessa D’Aulnoy (1650-1705), scrittrice dalla vita avventurosa.

Ma chi era Antoine Galland? Nato da una famiglia di contadini in Piccardia, Galland iniziò a studiare l’ebraico il latino ed il greco antico a dieci anni, in collegio.

I suoi interessi lo portarono ad approfondire i suoi studi nelle lingue orientali a Parigi. Nel 1670 intraprese il suo primo viaggio diplomatico come ambasciatore di Francia ad Istanbul, nella corte di Mehmed IV (1642-1693). 
 
Tra il 1670 ed il 1675 visitò molti luoghi tra i quali l’Asia Minore, la Siria, la Palestina e la Romania. Fu proprio durante i suoi soggiorni di lavoro che apprese l’arabo, il turco ed il persiano, dedicandosi anche al collezionismo di oggetti d’arte.

Galland fu, infatti, un grande appassionato d’archeologia e di libri antichi, con uno spiccato interesse per il mondo arabo, i suoi usi e costumi che gli valsero il titolo di “Antiquario del re”.

 Il lavoro svolto da Galland su Le Mille e Una Notte non si può definire scrupolosamente scientifico, però bisogna tener conto del fatto che traduzioni “rimaneggiate” non erano una rarità all’epoca (e neppure più tardi, sia in Occidente che in Oriente). 

L’orientalista non fu né un uomo intellettualmente disonesto né un falsificatore, bensì un autore che cercò (con successo) di incontrare i gusti del proprio tempo adottando, dove ce ne fosse bisogno, espedienti ed accorgimenti letterari che risultassero di sicuro effetto nel pubblico e servendosi di uno stile agile, mai sovraccarico o ridondante.

Fra le traduzioni più famose, dopo quella francese, si possono ricordare quella in italiano dell’arabista Francesco Gabrieli (1904-1996) per Einaudi, le traduzioni in inglese dell’arabista Edward Lane (1801-1876) e dell’esploratore Richard Francis Burton (1821-1890). A quest’ultimo va il primato della traduzione più lunga, ben sedici volumi.

martedì 22 gennaio 2013

Storia dei Mercenari da Senofonte all’Iraq

Un libro curato in ogni dettaglio che tratta un tema difficile, controverso, attuale, che continua a suscitare dibattiti ed opinioni fortemente contrapposte. E’ la lunga ed antica storia dei mercenari, uomini che da sempre combattono per denaro nelle zone “calde” del mondo. Uomini senza scrupoli o veri e propri “professionisti di morte” amanti del pericolo? 

Il Libro

Titolo: Storia dei Mercenari da Senofonte all’Iraq 

Autore: Anthony Mockler 

Casa Editrice: Odoya

Pagine: 336 

Prezzo: 18 euro

Anno di Pubblicazione: 2012








Descrizione

Associata fin dai tempi antichi alla pratica della guerra, quella del mercenario è forse "la seconda professione più antica al mondo". Un mercenario è un soldato di fortuna che combatte per una causa straniera, alla quale la sua lealtà è condizionata, in massima parte, dalla somma di denaro riservatagli. La sua storia è la storia stessa della guerra. Anthony Mockler ne ripercorre l'evoluzione dai tempi di Senofonte all'Iraq, passando per l'Impero Romano e il Medioevo feudale, con la nascita delle Libere Compagnie, fino ad arrivare ai condottieri del Rinascimento e alle ultime guardie svizzere cadute per la difesa delle Tuileries. Nel XX secolo, con la nascita delle legioni straniere, l'impiego dei mercenari fu complementare ma pressoché continuo. I conflitti di decolonizzazione in Africa, e in particolare in Congo, ne videro poi la recrudescenza. Ma cosa si deve pensare di questi uomini che guadagnano per dare maggiore potenza di fuoco alle guerre di tutto il mondo? L'opinione pubblica li identifica come gli ultimi alfieri del colonialismo. Scrittori e produttori cinematografici li usano abbondantemente, quasi si trattasse dei soli Don Chisciotte superstiti. Mockler esprime un giudizio più equilibrato: fintanto che la guerra non sarà abolita, i mercenari continueranno a esistere. Nel XXI secolo, con la proliferazione delle società militari private, i mercenari hanno conosciuto infatti una nuova mutazione. Introduzione e postfazione di Marco Guidi, che ci fa notare come gli ultimi trent’anni vedano l’emergere della figura del “contrattista” della guerra: un professionista della morte che uccide per denaro e combatte per passione, supportando le truppe regolari e spesso facendo il lavoro sporco tra le linee nemiche.

Per saperne di più 

La pagina del sito della casa editrice Odoya dedicata al libro.
Introduzione di Marco Guidi. 

L’Autore

Anthony Mockler, storico, scrittore e giornalista inglese, ha seguito per oltre vent’anni l’attività dei soldati mercenari. Laureatosi in Storia militare a Cambridge, è stato redattore capo al Guardian, che lo inviò come corrispondente in Congo, Spagna, Centro America e Vietnam. Come avvocato prese parte a due noti processi in cui alcuni mercenari furono condannati a morte (in Angola nel 1976 e alle Seychelles nel 1982). Considerato il maggior esperto al mondo sul mercenarismo, i suoi scritti si caratterizzano per notizie uniche, integralmente attinte di prima mano. Tra le sue opere ricordiamo: Il mito dell’impero. Storia delle guerre italiane in Abissinia e in Etiopia (Rizzoli 1977) e The New Mercenaries: The History of the Hired Soldier from the Congo to the Seychelles (1987). 


Marco Guidi, giornalista bolognese, è stato inviato speciale all’estero del Resto Del Carlino e Il Messaggero per seguire guerre e rivoluzioni nei paesi islamici, Medio Oriente, Cina, ex Urss, Balcani e Turchia, oltre che, per le stesse testate e il Mattino di Napoli, caporedattore, editorialista e opinionista di cronaca. Insegna alla Scuola di giornalismo (scuola di specializzazione postlaurea) dell’Università di Bologna.

venerdì 18 gennaio 2013

Numismatica e Filatelia

Si apre oggi una nuova sezione del blog tutta dedicata alle monete e ai francobolli islamici. Vi è mai capitato di fare un viaggio nei Paesi arabi/musulmani e di trovarvi fra le mani monete di cui non sapete l’origine e neppure cosa vi sia scritto? 
Questa sezione si propone di parlare della storia delle monete e dei francobolli, ma anche di analizzarne alcuni esemplari moderni o fuori corso. Anche attraverso la numismatica e la filatelia, infatti, si fa la Storia e la politica del mondo. Una moneta, una banconota o un francobollo sono ottimi strumenti di conoscenza di un Paese e della sua quotidianità

La monetazione islamica, argomento del post di oggi, ha un’origine comune a quella europea e le due si sono influenzate a vicenda nei secoli. 

Le monetazione usata dai musulmani deriva da quella dell’’Impero dei Parti (fondato nel II sec. a. C.), nel quale si emettevano monete d’argento recanti su una faccia l’effigie del sovrano e sull’altra quella di una divinità greca o del fondatore della dinastia (questo per quanto riguarda le prime emissioni. Quelle più tarde, infatti, si discostano da questo modello). 

La monetazione islamica, inoltre, è più uniforme rispetto a quella europea (almeno fino agli ultimi tempi); in prima battuta può sembrare strano, ma c’è una valida spiegazione: la prima, infatti, si è sempre servita esclusivamente della scrittura araba, mentre la seconda ha utilizzato, nell’arco della sua storia, gli alfabeti latino e greco.

Non si deve dimenticare, inoltre, che la monetazione islamica si diffuse su un vasto territorio che va dal Marocco al Sud Est asiatico arrivando a comprendere, nel momento di massimo splendore, perfino la Spagna. 

Durante le prime conquiste gli Arabi preferirono non modificare più di tanto le monetazioni dei territori occupati: si limitarono, ad esempio, a togliere simboli cristiani, ad aggiungere scritte in arabo, come il nome della zecca. 

La prima vera riforma monetaria venne portata avanti dal Califfo Abd Al-Malik tra il 690 ed il 700: le monete vennero coniate di nuovo e ritirati gli esemplari di origine “mista” arabo-bizantina o arabo-sassanide.

Sui pezzi in oro e rame venne raffigurato il Califfo, su quelli d’argento il mihrab. La scelta di rappresentare la figura umana fece scandalo, vista la rigida tradizione che vietava l’arte figurativa. 

Di fatto, però, questi primi modelli vennero presto rimpiazzati da altri recanti su entrambe le facce dei testi come la shahada, la professione di fece islamica. Solo nelle emissioni un po’ più tarde si trovò anche il nome del sovrano ed il suo titolo

Nonostante le variazioni questa fu la linea generale che si impose sulla coniazione di monete islamiche fino ad oggi. 

Attualmente gli estremi del mondo arabo-islamico, per quanto riguarda la monetazione, sono la Turchia, che ha riprodotto l’effigie dei presidenti e ha abbandonato la scrittura araba ed il calendario islamico e l’Arabia Saudita che, seguendo una rigida impostazione, vieta qualunque tipo di ritratto. 


Bibliografia 

Philip Grierson, Introduzione alla Numismatica, ed Jouvence, 1975.

martedì 15 gennaio 2013

Underground Bazar

La prima opera di Ron Leshem, giornalista israeliano, è Tredici Soldati, storia di guerra, morte e giovani vite strappate alla quotidianità per combattere contro Hezbollah nel Libano meridionale. Il nuovo libro dell’autore, Underground Bazar, è ambientato in una Teheran in cui l’unico modo per sottrarsi ai soffocanti divieti del regime di Ahmadinejad è fuggire nel mondo virtuale.

 Il Libro

Titolo: Underground Bazar 

Autore: Ron Leshem 

Casa Editrice: Cargo 

Collana: Narratori di Cargo

Pagine: 416 

Prezzo: 20 euro 

Anno di pubblicazione: 2012 





Sinossi

Kami abbandona la provincia per le brillanti luci di Teheran. Va a vivere dalla zia, ex vedette del cinema caduta in disgrazia e censurata dal regime islamico. Nel microcosmo del vicinato, si instaura un legame saldo, di reciproca protezione, con Babak, giovane omosessuale, e la signora Safoureh, donna sfuggente e dal passato misterioso. Ciascuno di loro è, a suo modo, vittima di un regime repressivo che combatte ogni aspirazione alla libertà. Quando Kami si procura un computer, gli orizzonti di internet gli aprono - a lui come a tanti giovani iraniani - le porte di un mondo più vasto, bello e ricco, privo di interdetti e divieti. Un luminoso mondo virtuale in una vita di tenebre. Nel frattempo, Kami conosce Niloufar, la principessa della libertà, figlia di una ricca famiglia, femminista impegnata e primo pilota da corsa. Sarà lei a introdurre il ragazzo nei meandri sotterranei di Teheran, a feste clandestine dove oltre alla droga e all'alcol, abbondano i piaceri proibiti e circolano libri vietati... Insieme, i due giovani cercheranno di sfuggire alla realtà soffocante che li circonda, per inseguire il loro sogno di felicità. Ma forse Niloufar si spinge un po' troppo oltre nella sua sfida agli interdetti religiosi e ai divieti politici.

Per saperne di più

Il sito dell’autore in ebraico e in inglese.
La pagina dedicata ad Underground Bazar sul sito Edizioni Cargo.


Dicono di Underground Bazar…

“Ron Leshem è riuscito a creare un intero mondo, semplicemente con il linguaggio”. 
David Grossman 

 “È difficile che qualcuno tra gli scrittori israeliani si sporchi le mani. Leshem lo ha fatto. E lo ha fatto come solo i veri scrittori sanno fare: e il risultato è struggente”. 
Alessandro Piperno 

“Come si può vivere in una dittatura in cui è proibito quasi tutto? Underground Bazar rivela la vita dell’attuale città di Teheran. Un romanzo iperrealistico, bizzarro, illuminante, poetico e immaginativo”.
Libération 


L’Autore 

Ron Leshem è nato nel 1976 vicino a Tel Aviv. Come giornalista, si è fatto subito apprezzare per una serie di réportage sull’intifadah, scritti per "Yedioth Ahronoth". ha inoltre collaborato con il quotidiano "ma’ariv" e lavorato per la televisione come direttore aggiunto per i programmi del secondo canale israeliano. La sua prima opera, Tredici soldati (Rizzoli, 2007), ha vinto nel 2006 il Sapir Prize – il più importante riconoscimento letterario israeliano – e lo Yitzhak Sadeh Prize, e ha venduto in Israele più di 150.000 copie, rimanendo nelle classifiche dei bestseller per ben due anni. È stato tradotto in quattordici paesi. Dal romanzo è stato tratto il film Beaufort, che ha ricevuto una nomination agli Academy Award come miglior film in lingua straniera, e ha vinto l’orso d’argento per la regia al Festival internazionale del cinema di Berlino. Attualmente Ron Leshem vive a Tel Aviv, dove scrive una serie drammatica per la televisione e lavora al terzo romanzo.

venerdì 11 gennaio 2013

“Emina” di Cristina Trivulzio di Belgioioso

“Emina” è un commovente romanzo scritto dalla principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso più di un secolo fa e ristampato solo nel 1997. Non è un’opera famosa, purtroppo e merita davvero di essere riscoperta.

La stessa autrice, affascinante e colta patriota italiana, è stata condannata dalla Storia ad un immeritato oblio. “Emina” è il primo romanzo della trilogia “Scénes de la Vie Turque”, ambientata nell’Asia Minore, proprio nei luoghi in cui la principessa di Belgioioso visse, da globetrotter ante litteram qual era, o visitò durante esplorazioni e pellegrinaggi. Le altre due opere sono, nell’ordine: “Un Principe Curdo” e “Le Due Mogli di Ismail Bey”

“Emina” è la storia di una bambina data in sposa ad un bey, Hamid, con il quale suo padre ha un enorme debito quasi impossibile da saldare. La giovane si ritrova, cosi, da semplice pastorella libera di vagare per i campi e le montagne a giovane moglie intrappolata tra i possenti muri di un harem

La vita non si preannuncia facile per l’ingenua Emina: nonostante la sua intelligenza ed il suo modo di vivere profondo, responsabile, devoto ed in costante sintonia con la natura che la circonda, tanto da farla apparire al lettore più matura dei suoi anni, la giovane non ha l’esperienza e la determinazione necessarie per affrontare le invidie e le gelosie che regnano sovrane in un harem.

Fin da subito, infatti, diviene il bersaglio preferito della prima moglie del bey, l’intrigante calcolatrice Ansha. Emina non trova conforto neppure nelle attenzioni del marito, che rasentano il paternalismo e l’indifferenza. 

L’autrice mette in evidenza l’inadeguatezza della protagonista ad un ruolo e a delle regole che le sono estranee e di cui non può capire le origini e la portata. Con il tempo, inoltre, la mancanza di comunicazione e complicità tra Emina e Hamid si fa ancora più profonda a causa dei mutati sentimenti della giovane sposa nei confronti del consorte; il timore viene sostituito dall’affetto che, lentamente, si trasforma in amore non ricambiato.

La situazione sembra non avere alcuna via d’uscita; Emina non riesce a spiegare i propri sentimenti ed i suoi tentativi di ottenere attenzioni portano a risultati opposti. Il destino, però, è imprevedibile. Può dare e togliere nello stesso tempo… 

Nel romanzo è costante la presenza dell’autrice che dedica ampio spazio alle descrizioni dei luoghi, dei personaggi e degli usi turchi, interrompendo la narrazione. Alla fine, quando Cristina di Belgioioso ed Emina si incontrano le loro due anime tanto diverse si fondono nella solidarietà femminile, nell’essere donne che hanno alle spalle un vissuto e parecchie sofferenze. 

“Emina” è un’opera molto diversa da quelle a cui siamo abituati oggi: non c’è ricerca di suspence, né di avventura e l’azione dei personaggi è piuttosto ridotta. La narrazione scorre grazie ad uno stile fluido ma non veloce

La già citata “intromissione” dell’autrice nella storia rallenta il ritmo, ma il lettore non ha mai la sensazione di noia o pesantezza. Si potrebbe dire che in questo romanzo è più forte l’attenzione verso i pensieri, le emozioni, insomma, l’interiorità dei personaggi che quella verso i loro gesti. Ogni atto è preceduto da una motivazione psicologica ben precisa che Cristina Trivulzio spiega con dovizia di particolari ad un lettore che non conosce gli usi e i costumi dei popoli dell’Asia Minore

Molto intensa ed interessante è l’immagine che l’autrice ci restituisce delle donne orientali: solo apparentemente sottomesse, in realtà sveglie, astute e piene di voglia di vivere. Nei suoi viaggi ella approfondì la conoscenza con molte di queste, studiandone le opinioni ed il modo di vivere e schierandosi dalla loro parte, a favore dell’emancipazione femminile, come evidenziato anche dai temi trattati in “Emina”

Cristina Trivulzio di Belgioioso seppe dare voce e comprendere nel profondo queste anime rinchiuse in gabbie dorate e considerate troppo spesso, dai viaggiatori occidentali, sensuali odalische passive, oggetti senza intelletto nelle mani dei loro padroni. 

Riscoprite la trilogia di Cristina Trivulzio, una donna anticonformista che rifiutò tutta la vita di assecondare le convenzioni sociali. Vi appassionerete ai suoi personaggi, alle sue storia ma, soprattutto, a lei. 


Il Libro

 
Titolo: Emina 

Autore: Cristina Trivulzio di Belgioioso

Casa Editrice: Luciana Tufani Editrice 

Pagine: 162 

Prezzo: 12.91 euro

Anno di pubblicazione: 1997 



Sinossi

Emina è uno dei tre racconti di Scénes de la Vie Turque, la raccolta ambientata nella regione dell’Asia Minore dove Cristina Trivulzio aveva vissuto per anni. Al centro dei racconti è la vita di donne dell’harem. Emina, la protagonista di questo romanzo breve, è una povera pastorella, data in sposa ancora bambina ad un bey, che si trova ad affrontare, senza sapersi difendere, l’ostilità della prima moglie del bey e che rimane vittima degli intrighi della rivale, ma anche dell’insensibilità del marito e soprattutto di una società alle cui regole è estranea.


Per saperne di più

Il mio articolo sul blog “Divine Ribelli” dedicato a Cristina Trivulzio di Belgioioso. 
La pagina dedicata all’autrice sul sito di Luciana Tufani Editrice.
La pagina dedicata al romanzo sul sito di Luciana Tufani Editrice.  


L’Autrice 

Donna affascinante, intelligente, indipendente, Cristina di Belgioioso (1808-1871) aveva troppe qualità da farsi perdonare. Per questo, dopo una vita avventurosa e nomade, venne quasi dimenticata. Fu una delle protagoniste della vita politica e culturale dei suoi tempi. Partecipò attivamente al Risorgimento e per questo venne costretta all’esilio. Visse a lungo a Parigi ed in Turchia. Giornalista e scrittrice, pubblicò articoli su numerosi giornali, tra cui Revue des Deux Mondes e diresse la Gazzetta Italiana e L’Ausonio. Scrisse saggi di politica e storia, resoconti di viaggio e racconti. Tra le sue opere si possono ricordare “Il 1848 a Milano e Venezia” e, nello stesso volume, “Della Presente Condizione delle Donne e del loro Avvenire” (Feltrinelli, 2011), “Ricordi dall’Esilio” (Paoline, 1978) e “Vita Intima e Nomade in Oriente” (Ibis, 1993).

lunedì 7 gennaio 2013

La Guerra italiana per la Libia

Il libro di Labanca affronta una delle pagine più controverse della storia del nostro Paese: la conquista della Libia. Tutto inizia quando l’Italia di Giolitti, dopo aver dichiarato guerra all’Impero Ottomano, occupa la Tripolitania e la Cirenaica (1911-1912). Siamo solo all’inizio di una campagna di conquista terminata nel 1931. L’opera si propone di raccontare anche il lato più oscuro di questo periodo, perché proprio su di esso farà perno la parte più importante della politica interna ed estera di Gheddafi.

Il Libro

Titolo: La Guerra italiana per la Libia

Autore: Nicola Labanca 

Casa Editrice: Il Mulino 

Pagine: 296 

Prezzo: 24 euro 

Anno di Pubblicazione: 25 ottobre 2012 


Descrizione 

Per «guerra di Libia» si intende in genere la campagna per la «Quarta sponda» dell’Italia giolittiana contro l’impero ottomano nel 1911-12. Ma alla fine del 1912 gli italiani controllavano solo qualche città della costa libica. Per avere il controllo della regione gli italiani impiegarono vent’anni, dal 1911 al 1931. Il conflitto divenne irregolare, fatto di guerriglia e controguerriglia; da guerra all’esercito turco divenne lotta contro la resistenza anticoloniale libica e contro i civili di Tripolitania e Cirenaica. L’Italia fascista finì per organizzare una serie di campi di concentramento, in cui rinchiuse metà della popolazione della Libia orientale. Il libro racconta una vicenda che l’Italia ha preferito dimenticare: conoscerla aiuta a capire anche la storia della Libia contemporanea, dall’indipendenza al regime di Gheddafi. 

Per saperne di più

La pagina dedicata al libro sul sito della casa editrice Il Mulino.

L’Autore

Nicola Labanca insegna Storia contemporanea all’Università di Siena. Dal 1984 è il corrispondente italiano di “War and Society Newsletter. A Bibliographical Survey”. E’ membro del comitato scientifico del magazine “Studi Piacentini”. Con il Mulino ha pubblicato anche “Una guerra per l’impero” (2005) e “Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana” (nuova ed. 2007) e ha curato “I bombardamenti aerei sull’Italia” (2012). È presidente del Centro interuniversitario di studi e ricerche storico-militari ed i suoi studi vertono sulla storia militare, coloniale e sul ruolo dei media in guerra.